Le feste di paese “Sono un business, servono regole”: intervista a Mauro Mambelli
Di seguito pubblichiamo l’intervista a Mauro Mambelli, Vice Presidente Regionale di Confcommercio Emilia Romagna, pubblicata sul Resto del Carlino di giovedì 28 settembre, sul tema delle sagre.
«ORMAI si mangia ovunque, nelle case, agli angoli delle strade, nelle sagre, in dubbi agriturismi. E pensare che dare da mangiare a qualcuno non è uno scherzo, è una cosa seria». Mauro Mambelli è il vice presidente regionale di Confcommercio. Insieme a Confesercenti in questi giorni l’associazione di categoria ha lanciato un allarme: «Basta con le sagre abusive e senza regole che non valorizzano il territorio». Mambelli è arrivato l’autunno, stagione delle sagre. Ma non piacciono a tutti… «Io non ce l’ho con le sagre, ce l’ho con le finte sagre. La sagra che valorizza un prodotto, che sia l’anguilla o i marroni, le fragole o il tartufo, io la difenderò sempre. Stimo e ammiro questo tipo di iniziative, è così che si promuove un prodotto o un territorio». Cosa intende quindi con sagre fasulle? «Una sagra che si spaccia come tale ma non coinvolge un prodotto e che ha come unico scopo fare business. A noi ristoratori per dare da mangiare ai clienti servono permessi, occorre pagare le tasse, la Tari. Loro lo fanno? I dati purtroppo non vengono forniti ed è impossibile sapere se vengono applicate le tariffe della Tari che normalmente pagano i ristoranti oppure se la pagano ridotta o addirittura non la pagano. Oggi tutti pensano di poter mettere su dal nulla una festicciola e puntare tutto sulla ristorazione, ma se succede qualcosa? Se qualcuno sta male? C’è tutta una Babele di concorrenti che operano nell’abusivismo». Che fare secondo lei per regolamentare il settore? «Secondo quanto ci risulta al momento solo il Comune di Faenza in tutta l’Emilia Romagna ha avviato un percorso di regolamentazione delle sagre. A parer mio poi servirebbe una lista di feste autorizzate mentre le altre andrebbero valutate da una commissione, e quelle non autorizzate vanno controllate». Avete calcolato che in Emilia Romagna le sagre fatturano in totale 393 milioni di euro all’anno: soldi che arrivano da clienti che scelgono di fare la fila e sedere accanto a sconosciuti su scomode panche per un servizio raffazzonato. Pensa che quella cifra spesa per un tipo di ristorazione così spartano senza sagre finirebbe nelle casse dei ristoranti? «In parte sì. Ma poi non è tanto quello, ma è che se vuoi fare una festa paghi la Siae e la Tari e chiami persone competenti per preparare i prodotti. Ora invece chiunque può alzarsi la mattina e inventarsi dal nulla una sagra. Oltretutto che andrebbero valorizzate le attività della zona: se fai una festa in un paese o in un rione e chiami delle gastronomie esterne stai facendo concorrenza. Invece andrebbero chiamate le attività della zona». In molti paesi lavorano volontari e la sagra è un elemento identitario, un modo per ritrovarsi. Cancellarle non vorrebbe dire anche nuocere alla comunità? «L’elemento identitario è proprio delle vere sagre, e quelle vanno valorizzate e difese: è un momento che organizzatori e volontari aspettano di anno in anno. Parliamo però sempre di sagre storiche o anche nuove ma nate per valorizzare un prodotto specifico tipico del territorio: sono quelle le feste da cui un paese trae vantaggio. Ma le sagre inventate di punto in bianco in una parrocchia o in un campo sportivo sono un’altra cosa. Anche le feste dell’Unità si stanno a poco a poco trasformando: da realtà con concerti, libri e attività di promozione si stanno appiattendo sull’aspetto gastronomico. E sono tutte in periodo turistico, per giunta: mi sono lamentato, portano via clienti». di Sara Servadei
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